MONACI BASILIANI del Mercurion

« Older   Newer »
  Share  
ritalxp
icon11  view post Posted on 25/8/2008, 13:59




San Luca di Demenna
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

San Luca di Demenna (Demenna (attuale Alcara li Fusi),920 - Armento, 13 ottobre 993)

Figlio dei nobilissimi Giovanni e Tedibia fu educato nella fede e nella scienza divina. Appena giunse alla giusta età, i genitori lo sollecitavano spesso al matrimonio, ma egli non volle ascoltarli desiderando dedicarsi a Dio. Lasciato il paese naìo, si reco al Monastero dei Padri Basiliani di S. Filippo di Agira. Divenuto sacerdote di trasferì in Calabria e in Lucania ove fondo il Monastero Basiliano di Carbone. Infine andò nell'antico Cenobio di S. Giuliano nei pressi di Armento dove fu eletto Abate. Qui Morì il 13 ottobre 993 e il suo corpo è sepolto nella Chiesa Madre di Armento.

La festa del Santo Abate ricorre il 13 ottobre

* Giorno 13 agosto 2008 è stata inaugurata nella contrada Lemina ad Alcara li Fusi una edicola votiva in memoria del Santo.

image








___________________________________________________





San Macario Abate
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

San Macario Abate nacque a Collesano e morì ad Oliveto Citra nel 1005, divenendone il Santo Patrono.

Le sue reliquie sono conservate nella chiesa di Santa Maria della Misericordia racchiuse in un busto bronzeo. La festività patronale ricorre il 24 maggio.


Celebrando il Millenario della morte di San Macario Abate (1005), venerato come Patrono di Oliveto Citra (SA), può essere rivolta anche a noi la domanda che Gesù pose alla folla (Cfr. Lc. 7,24-26) dopo aver incontrato i discepoli del Battista: “Che siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? Un uomo vestito con morbide vesti…? Chi siete andati a vedere? Un profeta? Anzi, vi dico, più che un profeta”. Anche a noi può essere posta questa domanda: “Chi è San Macario... ?Dove nacque... ?A quale famiglia appartenne…? In quale contesto geografico e storico espresse la sua esperienza religiosa…? Come mai Oliveto Citra conserva con amore e pietà la memoria della sua vita e le sue insigni Reliquie? 1. Chi è San Macario Il nome Macario (dal greco makarios = beato o felice) era senza dubbio un nome comunemente usato tra i cristiani del vicino Oriente. Conosciamo pure eminenti figure della cristianità dei primi secoli, specie in ambiente di cultura bizantina, chiamate Macario. Ne citiamo alcuni: Macario, vescovo di Gerusalemme (314-335), che troviamo acconto a Sant’Elena, madre di Costantino, nell’opera di costruzione delle prime basiliche e nell’opera di ritrovamento della croce; Macario alessandrino (secolo IV) eremita, maestro di vita spirituale, a cui si attribuisce il Perì exsodous, pia riflessione biblica in cui l’esperienza eremitica nel deserto diventa il simbolo della vita cristiana che dalla schiavitù della vita materiale tende alla Terra Promessa dell’eterna Beatitudine; Macario il Grande o Vecchio, anch’egli alessandrino e spesso confuso con il precedente, discepolo di Sant’Antonio Abate e poi guida diretta di altri discepoli. Da notare che il deserto della Giudea e quello della Tebaide in Egitto, furono gli ambiti preferiti delle prime esperienze monastiche cristiane. Il nostro San Macario, ovviamente, anche per il nome si inserisce nel solco della tradizione monastica orientale perché la Sicilia e quasi l’intero territorio dell’Italia meridionale rimasero possedimenti dell’Impero d’oriente fino alla conquista normanna. 2. A quale famiglia appartenne San Macario appartenne a una famiglia per noi singolare in quanto tutti i componenti di questa (moglie e marito più i due figli) sono venerati come santi: Cristoforo e Kalì, Saba e Macario. Prima a lasciare casa e beni materiali, d’accordo con la moglie, fu Cristoforo, seguito, non molto tempo dopo, dai figli Saba e Macario. Essi abbracciarono la vita religiosa secondo le direttive e lo spirito ascetico di S. Niceforo. Anche Kalì si ritirò in vita ascetica per formare una piccola comunità femminile. 3. Dove nacque Tradizionalmente, e avvalorato da studi recenti, si ritiene che San Macario sia nato a Collesano, attualmente in provincia di Palermo, e da questa città distante 72 Km. Il paese si estende lungo il versante settentrionale delle Madonie a circa 470 m.s.m. e precisamente si allunga sul crinale di un dosso lambito dal torrente Roccella. È citato nel secolo XII dallo storico e geografo arabo Edrisi. Il paese si è formato lentamente intorno ad un castello di origine araba la cui esistenza è documentata solo in età normanna. San Macario è vissuto durante la dominazione araba della Sicilia, iniziata nel 827, quando Eufemio da Messina chiamò gli arabi, e terminata nel 1061 con la conquista di Roberto il Guiscardo. Nell’opuscolo intitolato “Cenni biografici del protettore di Oliveto Citra San Macario Abate e novena” l’autore, Don Francesco Ciccone, nativo di Teora ed Arciprete curato di Santa Maria della Misericordia in Oliveto Citra, pubblicato nel 1907, si afferma che San Macario sia vissuto tra VIII e IX secolo e cioè agli inizi della dominazione araba in Sicilia. Questa cronologia non può essere accettata per il semplice fatto che, come diremo più avanti, San Saba si recò a Roma dopo la morte del padre Cristoforo (941) ove morì nel monastero di San Cesario del Palatino il 6 febbraio 995. San Macario si spegnerà nel 1005, dopo aver assunto la guida spirituale del movimento da essi iniziato. 4. Contesto geografico e storico È noto a tutti che il monachesimo, sia quello orientale-bizantino che occidentale-benedettino, abbia inciso profondamente nei comportamenti religiosi e nei modi di vita delle popolazioni mediterranee ed europee. Esso costituì il più importante alimento di vita spirituale ispirando la cultura, l’arte e l’organizzazione sociale, in momenti di grande smarrimento e imbarbarimento. In oriente già dai primi secoli del cristianesimo, specie dopo la fine delle persecuzioni da parte dell’impero romano e dopo l’editto di Milano di Costantino (313) fiorirono le esperienze religiose con la scelta radicale di abbandono della vita ordinaria dedicandosi alla preghiera, a volontarie penitenze e privazioni in luoghi appartati e desertici. Comunemente questo orientamento si spiega perché non vi sono più i martiri, quelle persone cioè che preferiscono subire la morte violenta anziché tradire la fede cristiana. Mancando questa tensione interiore, molte persone di acuta sensibilità religiosa, anche sull’esempio di alcuni profeti e dello stesso Giovanni Battista, si ritiravano a trascorrere il resto della loro vita negli eremi o nei cenobi. Come si è detto più avanti, il monachesimo in genere, anche quello più ascetico, ha influenzato la vita delle nostre popolazioni con lo schema della vita comune e della regola che assicurava il minimo di organizzazione sociale. Tornando ai nostri santi sappiamo che, dopo Collesano, furono per qualche tempo a San Filippo d’Argira ove costruirono anche una Chiesa dedicata a San Michele Arcangelo. Facendosi più pesante il controllo della vita religiosa da parte degli arabi e forse anche per una sopraggiunta epidemia, il gruppo dei tre (Cristoforo, Saba e Macario) nel 941 si allontanarono dalla Sicilia e si portarono nel Mercurion, la zona intermedia tra Calabria e Basilicata. A Laino Castello prima, e nella fortezza di San Lorenzo sul Sinni dopo, trovarono rifugio. Qui si spense Cristoforo il 17 dicembre dell’anno 990, assistito ovviamente dai figli e dalla moglie. È opportuno precisare che le notizie biografiche riguardanti San Macario sono parallele a quelle di San Saba e riferite dal primo biografo di questi Salvatore Oreste. 5. Come mai Oliveto Citra conserva con amore e pietà la memoria della sua vita e le sue insigni Reliquie Mancano documenti diretti che parlano della permanenza santamente vissuta e della pia morte di San Macario nel territorio del Comune di Oliveto Citra. È legittimo accettare la ininterrotta tradizione secondo cui Oliveto fu scelto come luogo ideale per un rapporto intenso e diretto con Dio, da parte di San Macario, e poi come custode dei suoi resti mortali. Questa tradizione, mai contraddetta, è avvalorata anche dai siti religiosi che hanno ospitato queste sue insigni Reliquie e dai documenti che trattano sia dell’accoglienza trionfale di dette Reliquie (1517) nella Chiesa annessa al convento francescano Santa Maria del Paradiso, sia che trattano della ricognizione delle stesse Reliquie negli anni 1632 e 1845. Probabilmente tale mancanza è spiegata dallo smarrimento di tanti documenti per il trasporto frettoloso dei testi della biblioteca del nostro convento ad altri conventi della provincia francescana di Salerno, in seguito alle soppressioni di detto convento sia nel 1811 (soppressione napoleonica),sia nel 1866 (Legge eversiva dell’Asse Eclesiastico). Padre Teofilo M. Giordano nel 1990 ha scritto un prezioso libro: I francescani nella storia di Oliveto Citra – ed. Cecom – Bracigliano (SA). Il VI capitolo di questo testo è dedicato appunto alle Reliquie di San Macario e le fonti a cui il Giordano attinge sono la Cartella di Oliveto – Documento 7 della biblioteca provinciale francescana di Salerno. Trattasi di pagine e frammenti di Cronaca, Atti notarili, Inventari, Registro di Messe, ecc…ecc…. Dalla relazione di un certo Padre Buonaventura da Mercogliano si viene a conoscenza che fu il guardiano dell’epoca, Padre Bernardino Maurella da Oliveto, a chiedere ed ad ottenere l’autorizzazione da parte del Papa Leone X del trasferimento delle Reliquie di San Macario dalla Chiesa di San Pietro a quella di Santa Maria del Paradiso, come già detto. A proposito della Chiesa di San Pietro, il testo latino parla di Chiesa quasi diruta de cursu temporis , cioè quasi distrutta per il trascorrere degli anni, dove erano conservate le Reliquie di San Macario irreligiose et irriverenter, cioè senza alcuna devozione e cura. Quindi è nel 1517, probabilmente il 24 maggio, che avviene la traslazione del corpo di San Macario con grande concorso di popolo anche dei paesi circostanti con la partecipazione delle autorità e del clero locale e ovviamente di tutta la comunità del convento. A proposito della Chiesa di San Pietro, sempre lo stesso documento latino, la pone intra Oliveti oppidum cioè entro la cinta muraria del paese. Però la Cronista Conzana scritta nel 1690 da Donatantonio Castellano, nativo di Bagnoli Irpino (cap. X pag. 122), nell’elenco delle Chiese di Oliveto nomina una Chiesa dedicato a San Pietro de Pestiniano e un’altra dedicata a San Pietro Venatore “entro cui vi è la cella di San Macario”. Stando alla testimonianza del Castellano siamo autorizzati a non tradurre letteralmente l’ espressione latina del suddetto documento intra Oliveti oppidum come se la Chiesa di San Pietro non fosse una chiesetta rurale, ma urbana. L’aggettivo Venatore può far pensare ad un luogo di caccia e non a caso parte dell’attuale località San Macario è chiamata anche Passeri. Una volta ospitate le Reliquie di San Macario nell’imponente Chiesa Santa Maria del Paradiso, nel corso degli anni, si provvide anche a costruire un ampio cappellone con un altare sormontato da colonne e timpano, non marmorei, di stile barocco. A proposito delle ricognizioni delle Reliquie di San Macario, il 10 gennaio 1845, il sindaco dell’epoca, Nicola Cappetta, chiese all’Arcivescovo di Conza, Monsignore Leone Ciampa, di autorizzare l’Arciprete o un altro sacerdote ad eseguire la ricognizione del corpo di San Macario. Il 18 gennaio dello stesso anno, l’Arcivescovo, autorizzava l’Arciprete, unitamente a due altri sacerdoti scelti a suo piacimento, a “rivisitare le ossa del glorioso San Macario”. Finalmente il 25 gennaio l’Arciprete Giuseppe Nicastro, assistito da Don Giovanni Pietro Greco e Don Gaetano Cappetta, eseguirono la tanto richiesta ricognizione delle Reliquie. Il documento citato scende nei particolari di questa delicata operazione affermando che vennero ritrovate due cassette, una di legno, consumata dal tempo, con un osso dell’avambraccio, la testa, e l’omero e un’altra cassetta di ottone ermeticamente chiusa all’interno della quale vi era una veste di guanciale contenente parte della tibia e altri resti non meglio identificati. Però fu trovato un documento che verbalizzava la precedente ricognizione avvenuta il 24 luglio 1652 alla presenza del guardiano dell’epoca, Padre Francesco di Torella. Il 2 marzo 1852 al guardiano Padre Francesco d’Andretta, fu dato incarico di riporre le Reliquie riconosciute nel 1845 nella nuova statua argentea a mezzo busto. Così indirettamente conosciamo anche la data in cui fu realizzata la statua del nostro patrono, attualmente oggetto di venerazione e di culto. San Macario abitualmente viene insignito del titolo di Abate, inteso come capo di una comunità e maestro di vita spirituale perché trattasi di monaco di epoca bizantina. Invece l’abate di un’abbazia benedettina poteva e può essere consacrato vescovo in quanto ad una abbazia poteva essere affidata la cura pastorale di alcune parrocchie e perché l’abate aveva la necessità di consacrare sacerdoti alcuni monaci. Poiché le succitate chiese, custodi delle Reliquie del nostro Santo, sono di rito latino, è prevalso la rappresentazione iconografica del Santo Patrono con le insegne tipiche di un Vescovo o Abate di rito latino. Non è superfluo sottolineare come la devozione a San Macario si sia radicata e manifestata perché le nostre popolazioni lo hanno invocato per la guarigione di diverse malattie, per la liberazione degli ossessi, e per avere il tempo propizio per la semina e per la raccolta dei diversi frutti della terra. 6. L’attualità del messaggio che scaturisce dalla vita di San Macario Può interessare, anche all’interno del nostro contesto ecclesiale, un Santo vissuto 1000 anni or sono, che si apparta dal mondo, vive dei frutti spontanei della terra, che abita in un tugurio senza nessuna protezione dal freddo e dal caldo? Noi viviamo in un contesto dominato dalla cultura del fare, del competere del possesso sempre in crescita. La lezione che ci viene da San Macario non è quella di imitare esteriormente i suoi modi di vita quanto il richiamo alla dimensione contemplativa della vita. C’è bisogno della ricerca di senso, di legare i successi del progresso dovuti alla scienza e alla tecnica ai valori spirituali e morali. Gli eremiti, poi i monaci, non sono fuggiti dal mondo per non accettare le responsabilità e l’impegno. Essi ci ammoniscono che l’attività febbrile, la vita frenetica deve essere un esercizio della carità nel senso più profondo e bello del termine, non vi è solidarietà, servizio e amore autentico al prossimo se non vi è amore a Dio. Sicché San Macario con la sua scelta radicale di Dio, ci richiama il valore della preghiera, il valore del silenzio come mezzo di ritrovare se stessi come persone capaci di Dio, aperte a Dio, felici in Dio.




___________________________________________________




Nilo da Rossano
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

San Nilo da Rossano, detto anche San Nilo il Govane battezzato con il nome di Nicola (Rossano Calabro, 910 – Tusculum, 26 settembre 1004), fu monaco basiliano, eremita, abate e fondatore dell'Abbazia di Grottaferrata.

È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa ed è santo patrono di Rossano Calabro dove viene festeggiato il 26 settembre e dove, nell'anno 2005, si è celebrata la ricorrenza del millenario di San Nilo.


La vita
Nacque a Rossano da famiglia aristocratica (i Malena, ancora oggi ne è memoria il casino intitolato alla famiglia da cui prende il nome, situato sulla sponda del fiume Otturi). Frequentò la scuola annessa alla chiesa di Rossano, divenendo un eccellente calligrafo e innografo; si appassionò alla lettura delle Sacre Scritture e della vita dei Padri del deserto.

Secondo lo storico Lenormant, Nicola si sposò prima di intraprendere la vita da monaco, affascinato dalla bellezza di una ragazza di più umili origini; ebbe una figlia, ma il matrimonio non durò molto. Fece in modo che moglie e figlia non avessero problemi economici e quindi si ritirò nell'eparchia del Mercurion molto probabilmente nel territorio di Viggianello (un'area ai confini fra Lucania e Calabria così detta perché nei pressi del fiume che era stato dedicato al dio pagano si erano insediati monasteri, ed eremi, costituendo una vera e propria "Tebaide".)

Si dedicò alla vita contemplativa e alla carità; raccolse e copiò numerosi codici. Essendo alla ricerca continua di una maggiore perfezione di spirito si ritirò in un recondito eremo e in una caverna dove c'era un altare consacrato a san Michele Arcangelo vicino Mercurion.

Non fu facile per Nicola diventare monaco e prendere i voti per via della sua originaria appartenenza al Decurionato Rossanese, ma pronunciò i voti nel convento di San Basilio.

Cominciò la sua attività sociale a San Demetrio Corone, fondando un monastero basiliano sulle rovine della chiesetta dedicata ai santi Adriano e Natalia. Dimorò a San Demetrio per venticinque anni, gettando le basi di un'istituzione monastica greca che aveva come compito la riunificazione tra le chiese di oriente e occidente.
« “Non basta gridare contro le tenebre, bisogna accendere una luce” »

(San Nilo )

Gli imperatori di Oriente Basilio II e Romano II lo pregarono di recarsi a Costantinopoli con la segreta intenzione di innalzarlo a quella sede patriarcale. Il cenobio di San Nilo venne devastato dai saraceni, i quali, penetrati nella Badia, scacciarono i monaci e stabilirono il loro sacrilego bivacco tra le mura della Mole silenziosa.

Solo nel 982 un altro basiliano, Vitale Cristoforo, fece risorgere il Cenobio dalle rovine spingendolo verso sorti di splendore e rendendolo ancor oggi uno dei centri più importanti di sapere e civiltà.

Morì nel 1004 durante il pellegrinaggio a Roma nei pressi di Tusculum.

Di san Nilo si occupò il suo discepolo prediletto San Bartolomeo abate, che ebbe di lui grande stima dichiarando:
« San Nilo vedeva che tutti gli uomini, tutti gli animali, finanché ogni rettile che si muoveva sulla terra, erano in cecità e totalmente privi di luce e la terra stessa tutta quanta era circondata da una tenebra profonda e da una immensa caligine »

(Bartolomeo abate)


Cronologia
* 910 ca. nasce a Rossano Calabro.
* 940 ca. riceve l'abito monastico a S.Nazario nella Lucania (Principato di Salerno) ora Cilento.
* 940 ca. dopo un soggiorno di quaranta giorni a S. Nazario, si reca nell'eparchia del Mercurion.
* 940 ca. – 960 ca. vive una vita ascetica nell'eparchia del Mercurion molto probabilmente nelle spelonghe di Viggianello (PZ). In questi anni compie almeno un pellegrinaggio a Roma.
* 960 ca. si trasferisce a S. Adriano presso Acri.
* 980 ca. si reca a Capua.
* 981 – 996 ca. risiede nel monastero di S.Michele di Valleluce presso Montecassino.
* 996 ca. si trasferisce a Serperi nei pressi di Gaeta.
* 998 si reca a Roma alla corte di Ottone III; ritorna a Serperi.
* 1004 (26 settembre) muore nella chiesa di S. Agata presso Tuscolo.

image







___________________________________________________




San Nicodemo da Cirò
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

San Nicodemo nacque nella prima metà del X secolo, intorno all'anno 900. Sul luogo esatto della sua nascita vi sono delle controversie, potrebbe infatti venir identificato con Ypsicron, attuale Cirò, oppure con la città commerciale (emporion) di Sikron, forse distrutta dai Saraceni durante le scorrerie dell'emiro Hasan (950-952), di cui si parla nelle biografie di molti santi italo-greci e che si trovava al centro della Turma delle Saline (circoscrizione amministrativa bizantina), identificata con l'odierna Sicari o Sicri, contrada disabitata nei pressi di Melicuccà. Dopo gli studi al Mercurion si ritirò sul monte Kellerano (Cellerano, oggi San Nicodemo), nel comune di Mammola, territorio del Parco Nazionale dell'Aspromonte, dove morì nell'anno 990. Si festeggia:

* il 12 marzo (morte) festa Patronale a Mammola;
* la domenica successiva al 12 maggio (nascita) al Santuario;
* la prima domenica di settembre in ricordo della traslazione delle reliquie del 1501 dall'antico monastero del Kellerano a Mammola.


Vita
Cresciuto a Ypsicron/Sikron, Nicodemo volle intraprendere da giovanissimo la vita monacale, ma il maestro da lui scelto, san Fantino il giovane che fu anche maestro di san Nilo da Rossano, lo rifiutò più volte ritenendolo di costituzione troppo gracile per la vita di rinunce e macerazioni imposta allora ai monaci. Quando venne finalmente accettato impressionò i confratelli con la sua continua preghiera, protratta oltre i normali limiti umani, i patimenti fisici e le esaltazioni mistiche. Costretto a fuggire (così come san Nilo) dal Mercurion dalle continue incursioni saracene trovò rifugio sul Kellerana, allora luogo completamente selvaggio ma nelle cui vicinanze si trovava la strada della Seja che collegava il Tirreno con lo Ionio, attirando nel tempo, grazie alla sua fama di santità, numerosi altri asceti e pellegrini, tutto ciò portò alla fondazione di un monastero.

L'insegnamento di san Nicodemo è avvicinabile a quello di san Francesco di Assisi, infatti i racconti pervenutici ce lo descrivono mentre difende un lupo dai contadini che lo vogliono uccidere dimostrandone la socievolezza, impedisce ad un confratello di colpire una vipera in quanto anch'essa "creata da Dio per stare sulla Terra" oppure in compagnia del cinghiale suo inseparabile compagno. San Fantino che era andato a visitarlo prima di recarsi in pellegrinaggio in Grecia, alla vista della dura vita ascetica da lui condotta gli pronosticò fama di santità. Morì, a 90 anni, un'età ragguardevole per l'epoca.

Culto
Nel 1501 le sue reliquie furono traslate alla grangia basiliana di san Biagio a Mammola. Nel 1638 viene proclamato patrono di Mammola. Nel 1873 in seguito ad un terremoto le reliquie vennero trasferite nella chiesa matrice, dove sono conservate tuttora proprio nella cappella di San Nicodemo.

image



Il monastero
L’antico monastero del Kellerana, che nel X secolo era abitato da monaci basiliani, fu meta di devozione e di pellegrinaggio da parte di fedeli richiamati dai miracoli di Nicodemo e divenne quindi punto di riferimento religioso e spirituale per tutta la Calabria. Il monastero fu sottoposto nell'anno 1081 dal conte Ruggero all'abbazia benedettina della Santissima Trinità di Mileto e il provvedimento venne confermato nel 1091 ancora nel 1102 e sanzionato dai papi Eugenio III (24 febbraio 1151) e Alessandro III (16 luglio 1170 e 19 marzo 1179). Il monastero comunque non si piegò e resistette fieramente sia all'assoggettamento che alla latinizzazione, questo portò a duri scontri con i monaci benedettini che non avevano nessuna intenzione di assistere impassibili alla ribellione di un centro monastico così ricco e venerato; ricorsero quindi alla Santa Sede che incaricò il vescovo di Tropea di dirimere la questione; il vescovo convocò i monaci di San Nicodemo a comparire davanti a lui, ma questi ultimi rifiutarono e furono scomunicati. Nonostante ciò i monaci non si piegarono e continuarono a celebrare con rito bizantino. Papa Alessandro IV il 21 gennaio 1255 diede incarico al decano e al cantore della cattedrale di Tropea di dare esecuzione alla scomunica. Poco tempo dopo la crisi si riacutizzò per l'intervento del legato pontificio, cardinale Pandolfo, che incaricò Pietro, abate di Lamezia di giudicare la questione, ma l'intervento del vescovo di Gerace Paolo dimostrò che il monastero era sempre stato soggetto alla sua giurisdizione. In conseguenza di ciò i benedettini invasero con la forza il monastero, ma furono successivamente respinti dai monaci basiliani con l'appoggio del Vescovo di Gerace e dei canonici. Per questi fatti il vescovo Drogone di Tropea comminò la scomunica sia ai monaci sia al vescovo di Gerace. Comunque questa ennesima scomunica non ebbe effetto e i monaci si mantennero sempre indipendenti e continuarono a celebrare con rito greco-bizantino. Nel 1433 il monastero dava la ragguardevole rendita di 100 ducati d'oro. La relazione scritta riguardo alla visita effettuata nel 1483 dal vescovo di Gerace Atanasio Calkeopulo (traslitterato anche come Chalkeopulos o Calceopulo) lo segnala in piena attività ed in ottimo stato, per quanto già all'epoca parte del patrimonio storico fosse stata coattivamente trasferita a Mileto e in seguito a Roma per volontà papale, ciò però causò la dispersione dei reperti in varie biblioteche; qualche platea giunse fino a San Pietroburgo. Nel 1485 anche la diocesi di Gerace, e di conseguenza il monastero, passò al rito latino. Per il monastero ciò segno l'iniziò di una rapida decadenza. Nel 1501 i monaci si trasferirono nella grangia di San Biagio in Mammola e l'antico monastero abbandonato andò in rovina, oggi se ne possono vedere i resti presenti nelle vicinanze del Santuario. Il monastero di Mammola fu poi soppresso dai francesi nel 1807.

image



Santuario
Si trova a 3 km del Passo della Limina, nel territorio del Parco Nazionale dell'Aspromonte. Inizialmente nel XVI secolo fu ricostruita una chiesa (in parte sui ruderi dell'antico monastero del X secolo, che è stato ristrutturato anche nel 1960). Gli affreschi presenti all'interno sono dell'artista Nik Spatari.

Importante sono i resti dell’antico monastero del Kellerana del X secolo a croce greca, con le tre absidi contrapposte ad oriente, tipiche dell'architettura bizantina-basiliana.

Il santuario ricco di storia e tradizioni è meta tutto l'anno di numerosi fedeli e turisti ed è abitato dal monaco don Ernesto.

La festa si svolge ogni anno la domenica successiva al 12 maggio.

Tutti i venerdì di luglio e agosto di ogni anno sono tradizionali i pellegrinaggi a piedi, con partenza da largo Magenta alle ore 5.00, si percorre il Sentiero dei Greci “la Seja” per raggiungere il santuario di San Nicodemo A.B. alla Limina.

Il santuario è stato incluso negli itinerari del Giubileo del 2000.


image

 
Top
0 replies since 25/8/2008, 13:48   8923 views
  Share